Riparto da dove ci siamo lasciati la scorsa volta, per raccontarti del prezioso rischio che ho corso ritrovandomi nelle pagine di un romanzo.
Ho finito di leggere Due, il seguito di Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Nonostante siano passati quasi vent’anni da quella mia prima lettura, ricordo ancora cosa provai: mi ero affacciato su qualcosa di clamoroso, avevo risposto presente a un richiamo di cui, fino a quel momento, ignoravo l’esistenza.
Grazie a quel romanzo, capii che i libri erano anche una cosa per me, su di me. Che si potevano raccontare storie di amori tardo-adolescenziali e riempirle di punk rock. Soprattutto, mi esplose davanti e dentro il come certe storie potevano essere raccontate.
Così, semplicemente, mi dissi: anch’io.
Leggere Due è stato come viaggiare su una macchina del tempo per raggiungere il me sedicenne a un appuntamento che né io né lui sapevamo di avere.
Enrico Brizzi mi ha fatto un regalo prezioso e pericoloso, perché guardare in faccia quel me adolescente ha significato confrontarmi con i suoi dubbi, le sue speranze, le sue promesse. Ritrovarsi uguali è meglio o peggio di ritrovarsi diversi? E poi, come mi sono presentato a questo appuntamento? Come ne sono uscito?
Felice, triste, nostalgico, soddisfatto, intenerito.
Ritrovare Aidi e il vecchio Alex è stato come ritrovare me stesso e ricordarmi il punto di partenza.
Ne avevo un gran bisogno.
Ecco qual era la differenza fra i ragazzi e gli adulti. I primi non potevano ancora sapere chi sarebbero diventati, ma neỉ grandi continuava a vivere qualcosa del passato.
(Enrico Brizzi, Due)
So che può suonare come una forzatura romantica, ma devo ringraziare di nuovo Enrico Brizzi, così come vent’anni fa, per avermi riportato sul sentiero che conosco e su cui voglio camminare. Dopo tanti giri a vuoto, infatti, sono tornato davvero al lavoro sul nuovo romanzo. E non è un caso che abbia ritrovato l’energia per farlo dopo essere tornato dove tutto è cominciato.
Mi sono promesso di non arrivare a odiare questa nuova storia. Sono fiero del lavoro che ho fatto con Loto e La chimica dell’attimo. Ogni volta che ricevo un nuovo commento da chi li legge mi ricordo dove sono, del viaggio che compio scrivendo e condividendo le mie storie. E sono contento, come mi è accaduto pochi giorni fa grazie a
, autrice di una delle mie newsletter preferite, che ha ospitato Loto e Valerio tra le sue letture di settembre, facendomi un prezioso regalo di inizio autunno.Eppure, oltre alla soddisfazione, ricordo anche la difficoltà avuta nell’abitare quelle due storie per troppo tempo, standoci dentro più del dovuto, senza aggiungervi nulla e anzi togliendo qualcosa a tutte le altre storie non scritte, per paura di lasciare andare quelle che già c’erano.
Per questo, adesso sto cercando di lavorare diversamente al nuovo romanzo. In particolare, voglio avvicinarmi di più al suo protagonista, che conosco ancora troppo poco, o comunque meno di quanto vorrei. Per farlo, sto riscrivendo la storia in prima persona, affacciandomi sui pensieri di questo mio nuovo personaggio, indossando i suoi panni, rifacendo tutto il viaggio a suo fianco.
Ho ricominciato solo da pochi giorni, ma già mi sento meglio e voglio continuare.
Ho letto di recente un articolo di Donatella Di Pietrantonio che mi ha colpito e che ti consiglio. L’autrice vincitrice del Premio Strega ha lavorato per tanti anni come dentista, ma ora ha deciso di concentrarsi soltanto sulla scrittura.
Se non avessi dedicato tutti questi anni ai denti dei bambini, avrei scritto dieci romanzi, non cinque. Qualcun altro avrebbe curato quelle lesioni allo stesso modo. Ma mentre trapanavo molaretti decidui nessuno ha scritto con la mia voce (quale che sia) i cinque romanzi che mi mancano. L’ho silenziata per non confessare a me stessa di aver scelto nel giardino dei sentieri che si biforcano quello sbagliato e di averlo seguito ostinatamente fino in fondo.
Le sue parole mi hanno fatto riflettere sullo spazio che diamo al lavoro e su quello che ricaviamo, di conseguenza, per ciò che ci preme da dentro. Tra i miei sentieri che si biforcano, la scrittura è quello che mi fa respirare più velocemente, un po’ per la fatica, un po’ per le emozioni che permette di provare.
Il me sedicenne l’aveva intuito. Per fortuna, durante il nostro appuntamento tra le pagine, mi ha fatto la gentilezza di ricordarmelo.
A presto,
Andrea
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