Torno a scriverti dopo una pausa più lunga del solito. Pochi giorni dopo l’ultima newsletter, infatti, sono partito per l’Italia. Ammetto che in quei giorni New York ce la stava mettendo tutta per farmi passare la voglia di prendere un aereo e lasciarmi questo preludio di settembre alle spalle.
Il caldo estivo era stato spinto via con gentile decisione, dando spazio a giornate fresche e cieli limpidi che facevano luccicare la città di una compiaciuta bellezza. Così, ancora prima di decollare, mi agitava già un senso di mancanza per tutto ciò che sarebbe successo qui, senza di me.
Ho desiderato New York a lungo e, nonostante sia qui da un po’, ho ancora paura che mi basti una distrazione per smarrirla, per perdere il suo ritmo, non farne più parte.
Nei giorni in Italia, mi sono accorto ancora una volta quanto soffra la perdita delle mie abitudini. Per me vivere in un posto significa abituarmi, costruire rituali e piccole certezze. Nonostante i tentativi, non sono bravo a portare le mie abitudini con me. Devono perdersi in un punto imprecisato, durante il viaggio, cadendo accidentalmente da una tasca rimasta aperta.
Le passeggiate che non faccio, i bicchieri d’acqua che non bevo, gli orari che non rispetto, le pagine che non leggo, quelle che non scrivo. In particolare, il pensiero del nuovo romanzo immobile da mesi e della tabella di marcia per la riscrittura rimasta a prendere polvere mi ha colpito spesso a tradimento, intrufolando l’irrequietezza nella vacanza.
Al momento di tornare a New York, il mio bagaglio pesava di emozioni più che all’andata, e non soltanto di quelle. Anche stavolta ho portato con me dall’Italia dei libri. Sceglierli non è semplice. Lasciare indietro un libro significa lasciare indietro la storia a esso associata, che mi torna in mente guardando in fretta il dorso o, più coraggiosamente, sbirciando qualche pagina. Storie di me, di altre persone, di luoghi, librerie, città, regali. Di cinque, dieci, vent’anni fa.
Eppure stavolta sapevo già quale libro avrei portato con me, anche se questo titolo non mi è mai stato davvero lontano.
Lessi per la prima volta Jack Frusciante è uscito dal gruppo quando avevo sedici anni, quasi vent’anni fa. Anch’io, come il vecchio Alex D., avevo letto Due di due poco prima. Una combinazione notevole, pensai. Ci misi poco a capire che quel breve romanzo per me conteneva tutto. Domande, risposte e musica, quanta musica. Non era un libro, era uno specchio, una mappa del tesoro. Dopo averlo letto, niente nella mia vita sarebbe più stato lo stesso.
Se Andrea De Carlo mi aveva aperto gli occhi, Enrico Brizzi mi diede la spinta. Non sapevo bene cosa o come (Don’t know what I want, but I know how to get it, per intenderci), ma grazie a lui e a quel suo romanzo capii che volevo scrivere. Così cominciai (e questa magari sarà la storia per un’altra newsletter).
Si sentiva più alto di svariati centimetri, camminava accanto a lei e pensava: «Ma questa non è una ragazza, è un intero disco di Battisti».
Ogni tanto, quando smetteva di parlare, lei gli sorrideva come un'alba d’inverno. «Cristo», pensava Alex. «Mio Dio», si diceva.
Potrei parlare per ore di cosa rappresentarono per me queste pagine, tra il punk, Bologna, l’amore adolescenziale, l’estasi provata nel sentirmi visto e la rabbia che mi bruciò dentro per tutto ciò che sentivo di non avere. In questa sede, mi limiterò a segnalare che ho portato Jack Frusciante con me a New York anche per un altro motivo.
Qualche giorno fa, infatti, è uscito clamorosamente il seguito del romanzo. Trent’anni dopo, Enrico Brizzi ha deciso di raccontarci cosa successe ad Alex e Aidi dopo la fine del libro. Se ho avuto paura io a leggere le prime pagine di Due, posso solo immaginare cosa abbia provato l’autore a scriverle.
Appena ho cominciato la lettura, però, mi sono fermato subito. Per procedere, dovevo prima tornare là dove tutto era iniziato. Durante il volo Roma-New York, così, ho riaperto la mia bella copia stropicciata di Jack Frusciante e l’ho riletto, tutto d’un fiato.
Dato che questa newsletter sta diventando parecchio lunga, spero mi perdonerai la crudeltà di interrompere qui il racconto. Più che un banale espediente per tenerti col fiato sospeso, questa pausa mi servirà sia per mettere a posto le idee sulla rilettura, sia per finire la lettura di Due, così da poter chiudere la riflessione come si deve.
Nel frattempo, ti chiedo: ce l’hai anche tu un libro che, quando lo hai letto, ha cambiato tutto? (Vale anche Jack Frusciante, chiaramente).
A presto,
Andrea
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Non sapevo che Brizzi avesse scritto il seguito.
Comunque... Articolo stupendo.
Complimenti Andrea!
Sermoneta e Ninfa miei posti del cuore 🤩