Niente propositi, forse
Bentornatə o benvenutə a Posta Lenta, la newsletter che si prende del tempo per arrivare puntuale.
Ciao e buon anno nuovo.
Ho cercato di sottrarmi alla pratica dei buoni propositi (il che, forse, è in sé un buon proposito). Niente bilanci di fine anno, né speranze o promesse. Sto provando a scendere dalla giostra della performance. Provo a programmare, quello sì, ma con l’obiettivo di sentirmi più tranquillo nell’affrontare i mesi che verranno, forse persino gli anni.
Nelle settimane passate ho condiviso nelle mie storie di Instagram foto e video da New York, dove ancora mi trovo. Il meccanismo di like, commenti e visualizzazioni lì per lì dà un’immediata gratificazione. Ho girato per la città con la mano sempre pronta ad afferrare il telefono per scattare una foto da condividere in privato o in pubblico. Mi sono detto che stavo fornendo contenuti in qualche modo utili, o comunque piacevoli. Man mano, però, mi sono accorto che così facendo stavo soprattutto nutrendo la mia disponibilità alla distrazione, allo sguardo superficiale.
Ho provato a racchiudere in una foto una bella passeggiata a Central Park, con questo tramonto fiammeggiante. La foto è bella, ha ricevuto tantissimi like, tanti messaggi di stupore, invidia ecc… Io che l’ho scattata, mentre la guardo riesco a recuperare il ricordo del momento a cui appartiene, ma condividendola sono riuscito a trasmetterlo davvero, a raccontarlo? Mi dico di no, per la pigrizia e la facilità della gratificazione immediata.
Per questo, negli ultimi giorni, ho deciso di condividere meno su Instagram, pensando di destinare soprattutto a questa newsletter le foto che scatto e i momenti che colgono. Dopotutto lo scopo di Posta Lenta è proprio quello di prendersi più tempo, provare ad approfondire, a non scrollare oltre.
Qui ero sempre a Central Park. Dopo aver esplorato la sua parte meridionale, volevo provare a salire più a nord, verso il lago più grande che si estende in lunghezza dalla 86esima fino alla 96esima. Quando sono arrivato al belvedere, la vista mi ha immobilizzato. Non ero preparato a una grandezza simile, a tutta quell’acqua davanti a me. Ho avuto la sensazione di affacciarmi su un confine, di trovarmi di fronte al mare. Era una bella giornata e ho camminato verso est tenendo gli occhi puntati sul lago, tenendomi stretta l’incredulità e ricordandomi di Holden e della sua domanda sulle anatre.
Qualche giorno dopo, il 31 dicembre, sono stato al Metropolitan Museum. Non era la prima volta che ci andavo. Insieme al Whitney è il mio museo preferito, anche se si tratta di due esperienze diversissime. Essendo l’ultimo dell’anno, era affollatissimo, ma è talmente grande che si potevano trovare comunque zone relativamente tranquille. Questa visita ha nutrito la mia riflessione sulla distrazione del mio sguardo. Ha senso fotografare le opere d’arte? Non è un po’ come mettere un ostacolo (il telefono) tra il proprio sguardo e ciò che si vuole ammirare?
Ci ho pensato soprattutto quando mi sono ritrovato tra la piccola folla raccolta davanti a uno dei famosi autoritratti di Van Gogh, ma il discorso vale anche per tante altre opere famose del MET o degli altri grandi musei. Anch’io ho tante foto sulla galleria del telefono delle opere che mi colpiscono, soprattutto delle didascalie (così mi ricordo di chi sono, i titoli ecc…). A parte questa utilità di catalogazione, però, sono foto “vuote”, che quasi mai contengono e richiamano i momenti in cui le ho scattate. Così, mentre anch’io mi stavo mettendo in fila per avere la mia foto di Van Gogh, il suo stesso sguardo mi è sembrata un’ammonizione (o una richiesta d’aiuto?). Ho fatto un passo indietro e ho fotografato chi stava fotografando, per ricordarmi di Van Gogh accerchiato.
Tu che ne pensi? Nella galleria hai più immagini o più ricordi?
A presto,
Andrea
P.S. Magari non l’hai neppure notato, ma mi fa comunque piacere dirtelo. Posta Lenta da qui in avanti ti verrà recapitata attraverso una piattaforma differente. Per te non cambia nulla, per me significa avere uno strumento più facile da usare e più in linea con gli obiettivi di questo progetto.
Passeggiata in edicola
Le Grandi Dimissioni sono ormai un trend, ma dietro ogni esperienza c’è una persona, con un prima e un dopo, con dubbi e resistenze. Perché lasciare un lavoro può significare abbandonare un sentiero, un’idea di vita. Fa paura, ma può fare anche bene dentro.
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Morire di tumore non significa arrendersi o perdere una battaglia. La narrazione della lotta è un modo per digerire meglio l’idea della malattia, ma se hai un tumore non diventi un lottatore, perché la lotta è impari. L’esperienza di Gianluca Vialli e la sua scomparsa sono un’occasione per riflettere sul modo in cui parliamo della malattia e di come pensiamo alla morte.
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Poi con calma me lo guardo
Hai ragione, avevo detto niente buoni propositi. Questo allora consideralo un invito. Io tengo un diario giornaliero da qualche anno. Prima scrivevo la mattina, poi ho capito che mi piaceva più farlo la sera, anche solo per mettere a posto i pensieri, anziché imporre loro una direzione. Qui Luca Mazzucchelli spiega quali sono i benefici della scrittura di un diario personale e dà qualche consiglio per cominciare a farlo con semplicità.